Interventi al 46° Congresso Nazionale Pri
Roma, 25-26-27 febbraio 2011

Widmer Valbonesi
Care amiche e cari amici, vorrei fare alcune riflessioni di carattere politico, anche perché oggi per me è una bellissima giornata. Ricordo che l’altra volta, alla conferenza programmatica, quando venne Berlusconi io mi misi un cartello dove c’era scritto: io non mi arrendo. E l’avevo fatto perché, arrivando a Roma, al quel cinema, c’erano bandiere non come queste che ho accarezzato, ma c’erano bandiere bianche sicuramente prese alla Standa, come se noi ci fossimo arresi. Oggi invece vedo manifesti con il colore rosso delle nostre bandiere. Oggi vendo un progetto politico e vedo dei repubblicani che hanno elaborato delle tesi. E di questo ringrazio l’amico Gallo. Mi dispiace che, coloro che chiedono sempre rinnovamento, ieri non ci fossero. Lì c’erano sei associazioni liberaldemocratiche, le più prestigiose del nostro Paese. Nate da circa dieci anni al massimo, che tutti i giorni producono analisi della società, suggerimenti, come devono fare le associazioni culturali verso forze politiche, per dare soluzioni liberaldemocratiche ai problemi del nostro paese.

Credo che la sintesi che ieri è venuta fuori debba essere un insegnamento per capire che cosa può essere nel nostro Paese una forza liberaldemocratica. Prima di fare alcune considerazioni di carattere politico, voglio tornare a un anno e mezzo fa, quando Giorgio La Malfa scrisse una lettera al Presidente del Consiglio Berlusconi. Io ero ancora Segretario Regionale dell’Emilia Romagna e scrissi un articolo sulla "Voce Repubblican"a. E’ ancora nell’archivio, lo trovate su internet. Era intitolato: "Dove ci vuole portare Giorgio La Malfa? Il rischio è di finire in mezzo al guado". Il mio articolo iniziava così: "La presa di posizione dell’onorevole La Malfa è talmente sorprendente che rischia di apparire strumentale. Frutto di uno dei soliti giochini tattici tesi a protestare per tentare di rivendicare un ruolo nel Governo o bloccare il partito che tenta di serrare le file dei repubblicani italiani. Sorprendente perché era talmente tanta la fiducia di Giorgio La Malfa nel PDL e in questo Governo, che voleva portare il Partito a favorire il processo di scioglimento nel PDL del PRI. La sua adesione iniziale al gruppo del PDL e non a quello misto, comportò un pronunciamento perentorio della Direzione Nazionale". E dicevo in quell’articolo: "Nel momento in cui noi non siamo partecipi attivi del Governo ma della maggioranza, mi sembra chiaro che sia mutata sostanzialmente la nostra collocazione, nel senso di una maggiore autonomia di giudizio rispetto a quello che comporta la partecipazione al governo". E quindi mi sembrava che, avendo di fronte tre, quattro anni di tempo, noi potevamo dedicarci a ricostruire l’idea di una Costituente liberldemocratica nel nostro Paese, necessaria di fronte a un bipolarismo che non è costituito come nei Paesi di grande civiltà democratica, cioè una sfida sul buon governo del Paese. Il bipolarismo italiano, per come è venuto a configurarsi, è invece una sfida per la conquista del potere. E tutti si disputano i ceti corporativi. Direi che, strutturalmente, nel momento in cui c’è la lotta per il potere e non la lotta per il buon governo, l’inseguire, la destra e la sinistra, i ceti corporativi, i ceti più forti, impedisce a questo Paese di essere governato secondo quello che Mazzini chiamava "dovere" e Ugo La Malfa "senso di responsabilità verso l’interesse generale". Quando Chiamparino dice che il PD rappresenta i ceti corporativi perché si occupa più dei lavoratori del pubblico impiego e delle grandi imprese – come ad esempio è avvenuto nella vicenda Marchionne, sposando le tesi di chi vuole conservare un posto, e non di chi vuole conservare il posto ma proiettato nel futuro attraverso un rilancio di quella attività produttiva - ebbene, Chiamparino dice la verità sacrosanta. E cioè che questo partito non ha nessuna possibilità di esercitare una funzione di governo del Paese, inteso come capacità di rappresentanza degli interessi generali perché si basa su una ipotesi velleitaria. Ma è anche pericolosa per la democrazia; e ha al suo interno tali e tante contraddizioni che lo rendono incapace di governare il Paese. Quando Rosy Bindi dice che mettere insieme tre o quattro riformismi significa creare quel meticciato culturale che avrebbe favorito le condizioni di una migliore democrazia nel nostro Paese, la Bindi espone non solo un disegno velleitario. E se voi lo proiettate, questo meticciato culturale, fra trent’anni, fra quarant’anni, quello che era il pluralismo delle culture politiche, che trovava poi in Parlamento la sintesi politica, alimentato da un confronto politico pluralista, dove si confrontavano visioni e modelli della società; se voi il meticciato culturale lo portare a trent’anni, allora significa il pensiero unico. E quindi dal punto di vista della democrazia e del pluralismo, del confronto democratico, abbiamo una società che non si alimenta più. E’ una società tenuta insieme politicamente solo da un unico elemento: l’antiberlusconismo. E’ chiaro che la destra ha le sue contraddizioni. La destra, per natura, per definizione, è conservatrice dell’esistente. Questa destra è anche un po’ di più. Insegue a sua volta i ceti corporativi, è condizionata dalle estreme che impongono il localismo. La destra e la sinistra inseguono il localismo clientelare nel momento in cui la competizione è a livello mondiale. Nel momento in cui ci dovrebbe essere una riforma dello Stato bipartisan, che portasse a ridurre i livelli dello Stato, i livelli di ingerenza dello Stato nell’economia, e nello stesso tempo liberare risorse per ridurre il debito pubblico e fare gli investimenti per la ricerca, per il futuro; noi, dunque abbiamo destra e sinistra che alimentano uno Stato assistenziale senza precedenti e nello stesso tempo sostengono prevalentemente i disegni di spesa corporativa del nostro Paese. Allora io credo che questo avvenga perché, nel momento in cui sono cadute le ideologie, è caduta anche la capacità delle forze politiche di analizzare i processi di trasformazione sociale di questo Paese. E in questo Paese, che si è trasformato, manca la spina dorsale del ceto medio, quello liberaldemocratico, quello che intraprende con l’attività economica, quello che ha bisogno di un modello di sviluppo del Paese efficiente, rigoroso, ma con poca invasività nella gestione pubblica. Col recupero nella politica di quel concetto di interesse generale ormai perso nella cultura del meticciato catto-comunista o del populismo berlusconiano. Quando la grande stampa che, tradizionalmente, ha rappresentato questa ossatura illuminata del Paese, quando la grande stampa insegue la deriva dell’antiberlusconismo, senza un alternativa seria, occorre allora lavorare, amici repubblicani, sui tempi lunghi. Puntando alla creazione di una costituente liberaldemocratica che riprenda quel ruolo storico, cioè quel ruolo dell’interesse generale, e soprattutto di quei ceti produttivi, di quelli che rischiano in proprio, dei giovani che hanno bisogno di inserirsi nel mondo produttivo. E quindi tagliando e rendendo efficiente lo Stato e le sue articolazioni periferiche, accorpate o abolite. Quando io sento che quasi l’80% della spesa delle Regioni è trasferimento diretto dallo Stato e va a finire sulla sanità, un 8-9 per cento sono spese generali: ma che funzione esercitano le Regioni in questo contesto! Quando ci sono 8200 Comuni, 497 Comunità montane, molte delle quali non hanno neanche un metro di altitudine, quando ci sono 100 Provincie che noi dovevamo abolire fin dal 1970, ma quale appesantimento rappresentano, quale livello di burocrazia, di passaggi, di conflitti di competenze che gravano sui cittadini e sulle imprese? Come possiamo affrontare il problema del rinnovamento di questo Paese e renderlo competitivo, quando abbiamo questi problemi? L’orizzonte di un partito deve essere quello di darsi dei contenuti. Darsi un polo omogeneo. Quando io sento parlare di terzo polo, io che lo dico da vent’anni, non ho mai pensato ad un polo che sia un momento di interdizione. Ugo La Malfa nella sua vita ha sempre cercato la fusione delle forze laiche. Ma quando Craxi gli propose l’idea dell’area socialista, Ugo La Malfa disse: a me questa idea dell’area socialista che deve condizionare a fini di potere la Democrazia cristiana e il Partito comunista, a me quest’area non piace. Il terzo polo, che voi volete chiamare liberaldemocratico, con tre forze che sono nell’Internazionale popolare, che rappresentano il fallimento di questo bipolarismo di destra e di sinistra; questo polo che alle regionali è stato un partito di interdizione fra la destra e la sinistra, un po’ con l’uno e un po’ con l’altro, ma per accresce il proprio potere. Ebbene, che questa sia l’alternativa nella quale si devono impelagare i repubblicani, strategicamente non mi convince, anzi, credo che questo rafforzerebbe il bipolarismo: cioè un po’ con l’uno e un po’ con l’altro. Noi dobbiamo invece cercare un terzo polo, una terza via, che può diventare organizzativamente un terzo polo. E fino a quando noi non avremo le condizioni, o di legge elettorale, o la forza attraverso il nostro impegno di riuscire ad avere rappresentanze, allora dobbiamo fare un patto fra tutti i repubblicani, un patto che riproponga quel valore del patriottismo costituzionale, che è un modo di intendere la politica, che è un modo di intendere la Nazione, che è un modo di gestire la società multietnica, che è un modo di riproporsi che è attualissimo, che sta nella nostra cultura, che è quel diritto di cittadinanza che deve unire tutti coloro che abitano nello stesso Paese attraverso un patto costituzionale in cui ci si riconosce. Dove ognuno è libero di pensarla come vuole dal punto di vista religioso, quindi è un polo laico. Ma dove tutti però perseguono, dal governo o dall’opposizione, l’interesse generale. Ugo La Malfa diceva: noi possiamo stare al governo o all’opposizione, ma rappresentiamo una cultura di governo. Siamo al governo anche quando siamo all’opposizione. Sono funzioni diverse, ma per perseguire il bene generale. Si esercita sempre una funzione patriottica, costituzionale. Noi dobbiamo seguire questo: la virtù civile. Dobbiamo creare nuove generazioni che credono in questo, che vedono nella rottura dello stato assistenziale la loro prospettiva. Dobbiamo essere autonomi. Concludo dicendo: fino a quando ciò non sarà possibile, non sarà possibile in via autonoma, allora i repubblicani dovrebbero confrontarsi. Ho grande piacere di vedere qui il mio amico Peppino Ossorio, e Lucana Sbarbati, con la quale ho avuto anche scontri politici. Ma tutti coloro che hanno mosso una pagliuzza per sviluppare il Partito Repubblicano, devono trovare le porte aperte nel Partito Repubblicano. I repubblicani devono confrontarsi, discutere, magari dividersi, ma sapendo che alla fine ci sarà qualcuno che ha la maggioranza, che governa il partito, e qualcuno che è in minoranza, ma che sta nel partito. E che stimola la maggioranza, portando la sua opinione. Così arricchisce il Partito Repubblicano. Ieri ho intravisto un pericolo: e cioè che qualcuno sottovalutasse l’importanza della composizione della diaspora. La ricomposizione è la pre-condizione per provare a perseguire un disegno strategico: è la costituente liberaldemocrtica. Bisogna essere generosi, non chiedere abiure. Dopo gli insulti che Giorgio La Malfa mi ha rivolto dopo anni di amicizia, io mi sono prestato insieme all’amico Savoldi, per un tentativo di conciliazione estrema. Si chiedeva semplicemente di dire: d’ora in avanti mi adeguerò a quelle che sono le regole del partito. Io e Savoldi eravamo convinti che questo sarebbe stato. Invece è arrivata una dichiarazione su quello che era successo al Congresso di FLI, una denuncia ai probiviri: questo dimostra che qualcuno ha scelto altre strade . Vi dico che questo Congresso ha "pensiero" e ha "cuore". Noi dobbiamo essere generosi. Le aspirazioni personali vanno benissimo, ma ricordatevi che nella povertà assoluta, nella divisione, non ci sono aspirazioni per nessuno, c’è la fine del Partito Repubblicano. Noi dobbiamo avere orgoglio, coraggio e consapevolezza e soprattutto un grande amore verso quell’edera che io, in una mia poesia, ho detto che "resta tenace". L’Edera, abbarbicata alla sua storia, ha ancora tanto da dire.

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Guido Camera
Ringrazio tutti voi, ringrazio in particolare l’amico Riccardo Gallo per l’elaborazione che ha dato nel suo documento di quello che è il mio pensiero, e ringrazio anche tutti voi che in questi anni passati dall’ultimo Congresso mi avete dato la possibilità di spiegarlo e condividerlo sulla "Voce Repubblicana" Mi è dispiaciuto molto di non essere stato presente ieri mattina al dibattito con le altre fondazioni, purtroppo avevo un impegno professionale, ma so che Riccardo Gallo ha espresso al meglio quelle che sono le mie idee. Vorrei partire da alcune parole del Ministro Tremonti. Soprattutto quando parlava di riforma fiscale, riforma della giustizia tributaria, perché il nostro Segretario nella sua relazione ha colto un problema veramente importante, soprattutto in una ottica europeista: il problema che, in assenza di una garanzia della giurisdizione, che è una cosa diversa rispetto alla garanzia dell’applicazione di una norma, gli investitori stranieri non hanno fiducia nel venire a portare i loro capitali in Italia. Guardate che uno dei motivi per cui non c’è certezza per gli investitori, il più delle volte non è un problema di norme ma è un problema di interpretazioni e soprattutto è un problema di cattiva qualità della giurisdizione. La giurisdizione tributaria soprattutto – ho avuto già modo di dirlo nel Consiglio Nazionale - usa interpretazioni delle norme che ne stravolgono il significato. Vi faccio un esempio: esiste una creazione giurisprudenziale che si chiama abuso del diritto, che presuppone la possibilità da parte dello Stato di riprendere a tassazione operazioni in tutto e per tutto conformi alle norme del codice civile. Questo perché si ritiene che un abuso della norma che non viene violata ma solo interpretata in senso favorevole per un imprenditore, possa portare ad un vulnus nei confronti dello Stato. E sapete nei confronti di quale azienda, di quale imprenditore viene effettuata questa forma di tassazione? Nei confronti di chi è solvente, non chi di chi è veramente un evasore, perché non ha beni. E allora questo secondo me è un problema che va risolto, non tanto sotto il profilo della modifica delle norme ma sotto il profilo del miglioramento della qualità della giurisdizione e soprattutto della garanzia nell’uniformità dell’applicazione delle norme. Esiste un fenomeno ormai noto a livello di spazio giuridico europeo che è quello di normazione di produzione giurisprudenziale. Cioè il Parlamento può scrivere delle leggi ma ormai è legittimo, anche secondo determinate sentenze della Corte di Strasburgo, che le sentenze stravolgano il significato della norma scritta dal legislatore. E allora questo non è un problema solo italiano, come sembrerebbe essere leggendo in questi giorni, quando si dice che la Cote Costituzionale ci boccia le leggi, perché esistono dei problemi di articolazione logica giuridica. Quando ci sono delle fonti di diritto primario sovrastante a livello europeo e a livello interno, piacciano o non piacciano, la norma sottostante non può andare a toccarle, perché sennò organismi costituzionali interverrano sempre. E questo non è un problema italiano, è un problema di natura europea, se non internazionale. Io voglio fare anche una critica perché, quando leggo le parole del Ministro Bossi, a proposito del problema della reintroduzione dell’immunità parlamentare, allora è sbagliato parlare di immunità parlamentare perché intanto l’immunità parlamentare non l’ha mai toccata nessuno. E’ stata abrogata una condizione fondamentale dell’immunità parlamentare, che era quella che l’organismo politico desse un giudizio preliminare sulla fondatezza o sulla rilevanza politica di un’azione giudiziaria. Io l’ho scritto leggendo anche quei bellissimi interventi ripresi nel libro di Alessandro Massimo Nucara. Tra l’altro sono veramente importanti, perché si capisce, ad esempio, quando in Costituente c’è il dibattito sulla giuria, come Conti, come Sardiello, di un medesimo gruppo, portino avanti idee in Parlamento tra di loro contrastanti, ma poi arrivino ad un’unica indicazione sulla costituzione della giuria. E il capogruppo repubblicano alla Costituente nel momento in cui dice "noi siamo per questa idea come Partito Repubblicano", fa in modo che gli altri si attengano a uno stesso voto.

Quando sento il Ministro Bossi che dice che l’immunità parlamentare non va bene, perché la gente la intenderebbe solo per Berlusconi, allora io dico: ma questo è il grandissimo errore di fondo, questo è l’errore che si è seguito dal 1993, pensare di andare a modificare le leggi e la Costituzione in base a quello che vuole la gente. Non in base a quello che è l’interesse della gente. Io sono fortemente convinto che il futuro dell’Italia – noi dobbiamo ragionare in un futuro europeo - non può prescindere da un dato fondamentale: cioè noi abbiamo la necessità di lavorare su una Repubblica parlamentare. Ma quando una Repubblica è veramente parlamentare, e di conseguenza il Parlamento è sovrano, è proprio non in funzione di uno, ma di tutti, che bisogna garantire che non ci siano invasioni di campo da parte della magistratura. E quindi secondo me è un giudizio che si dà soprattutto all’opinione pubblica, un giudizio non corretto, sia nell’interesse di tutti ma anche nei confronti del Parlamento. Il quale viene delegittimato perché si svilisce ancora di più sotto questo profilo la funzione dei parlamentari. Non sono un politico però sono un grande appassionato di politica e soprattutto dell’impegno civile. Non ho mai fatto interventi su argomenti prettamente politici, lasciandoli ai molti amici che hanno sicuramente più esperienza di me. Voglio dire che l’idea portata avanti nell’intervento di ieri dal Segretario mi trova d’accordo. E’ anche inevitabile per la sopravvivenza dei repubblicani. Non dimentichiamo che su quelle che sono le idee liberali tradizionali che hanno fondato la grandezza del pensiero repubblicano, oggi, complice anche la difficoltà ad arrivare ai mezzi di comunicazione, è difficile trovare un consenso che non sia soggettivo effettuale, perché, almeno a parole, sono tutti liberali. Basta per questo la facilità sui punti sui quali ci si è trovati d’accordo per la riunificazione repubblicana. La vera sfida sta nel lavorare giorno per giorno nella sezione, nelle ventiquattro ore in cui noi stiamo nella società. Nel nostro lavoro, nel rapporto con le persone, nella nostra presenza nelle istituzioni. Io ritengo che, solo con la coerenza, solo con l’impegno, solo con l’umiltà noi possiamo dimostrare che veramente i repubblicani meritano un ruolo nella società civile, un ruolo dirigente, e non solo dirigente. Ha detto la collega che mi ha preceduto: "tolgono i finanziamenti alle scuole". Io ho fatto tutte le scuole pubbliche. Quando sono uscito dal liceo ero convinto che il Risorgimento fosse una cosa fra le meno interessanti. Ma il mio professore di musica mi diceva: il Risorgimento? Lo dimostra il nostro Inno. L’Inno è una marcetta. Allora, solo dopo, autonomamente, mi sono realmente appassionato a quello che ha portato alla creazione del nostro Paese, della nostra Italia. E quindi non facciamo discorsi indiscriminati perché nella scuola pubblica c’è chi non ha fatto veramente il suo dovere di formare i giovani italiani spiegando loro quali sono i veri pensieri a cui noi dobbiamo uniformarci. Concludo: il mio maestro nella professione, Vittorio Chiusano, che è stato anche un grande liberale, il primo giorno in cui sono entrato in studio, mi diede una copia del libro "Cuore" e mi disse : un liberale e un avvocato prenderà esempio da Stardi, uno che studierà più di tutti. Io sono qua a disposizione di tutti, perché credo che tutti abbiamo un unico obiettivo, però con grande serenità sappiamo che c’è da rimboccarsi le maniche e siamo pronti.

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Riccardo Bruno
Cari amici, molti vi hanno detto in queste ore che dovete fare questo, o che dovete fare quello. Io sinceramente non so cosa dovete fare e ho seguito questo congresso più problematicamente. C’è chi ritiene che non siamo all’altezza di un pensiero politico profondo, e questo è vero perché il pensiero politico si può sempre approfondire ulteriormente. Ad esempio io nella mia superficialità capisco appena questo terzo polo. C’è qui Marco Pannella, scusate: se vogliamo fare un terzo polo le cui forze possono essere a noi più omogenee, chiudiamoci con Marco in una stanza e convinciamolo. Abbiamo in comune le battaglie sui diritti civili, il biotestamento e la bioetica da portare avanti insieme, oltre a un retroterra importante nella comune appartenenza all’Eldr. C’è pure un tentativo messo in atto nell’89, "il polo laico". Guardate io ho un qualche rimpianto perché quel 4,5 per cento delle europee che pure ad alcuni apparve un disastro a me sembrava una base di partenza per costruire una realtà politica importante. Riannodiamo il filo della nostra storia allora, se vogliamo un polo omogeneo ai repubblicani, perché scusate, con tutto il rispetto, i presidenti Casini e Fini - a parte che sono a noi omogenei negli stessi termini in cui ci può essere omogeneo il presidente Berlusconi - non sono omogenei fra loro. Per quanto si possa essere superficiali nel pensiero, non occorre grande acume per cogliere la diversità tra Fini e Casini. Uno vuole essere la destra contro la sinistra. L’altro vuole essere il centro fra destra e sinistra. Il primo sembra interessato sostanzialmente a superare Berlusconi e a conservare il medesimo sistema, forse a perfezionarlo, visto la sua storia presidenzialista e bipolarista; l’altro a cambiare Berlusconi e magari anche il sistema. Poi voi vedete qui quanto si sia discusso di legge elettorale e sistema istituzionale. Ha ragione Denis Ugolini quando ci ha ricordato che prima viene la riforma istituzionale e poi quella elettorale. Avendo cambiato sempre le leggi elettorali, abbiamo finito con il mettere in crisi anche il sistema istituzionale. E i partiti sono in crisi, anche qui ha ragione Denis, il nostro e il Pd con le primarie, ma attenzione perché se i partiti sono ancora in crisi, Berlusconi - che è un anti - partito - non ha ancora finito la sua corsa. Ora, vuole il partito compiere uno sforzo di progetto per ridisegnare il sistema costituzionale della Repubblica e ritrovare vita propria? Guardate il segretario, ha fatto pubblicare gli interventi dei repubblicani all’Assemblea costituente, è un’opera meritoria, perché ci consente di capire quanto ampio sia lo scarto fra il loro sentire mazziniano, azionista, e la visione cattolica e comunista dei problemi che si trovò di fronte l’Italia del secondo dopoguerra. Riprendiamo quella strada, io sono d’accordo. Alcuni amici poi hanno appunto sostenuto che il nostro è un partito di progetto che deve muoversi, deve essere dinamico, deve saper elaborare scenari nuovi, avviare processi decisivi per gli equilibri della società. Ora, non vorrei che noi avessimo una visione mitica del nostro partito, che per più di 40 anni della sua storia è stato alleato della Democrazia cristiana. Progettava, disegnava scenari, anticipava e modernizzava il paese, ma, consapevole di essere una forza di minoranza, stava ben saldo nelle sue alleanze ad un grande partito di massa come la Democrazia cristiana. E si sa cosa abbiamo passato per riuscire a rompere quell’alleanza nel 1991. Eppure guardate che si poteva rompere anche prima. O per lo meno è dal 1976, quando Ugo La Malfa considera "ineluttabile" il compromesso storico, che ci si inizia a misurare con l’inadeguatezza del centrosinistra e del suo fallimento. E nonostante ci fosse più pensiero nel partito allora che oggi, l’ansia e la preoccupazione per l’avvenire espressa da Ugo La Malfa, che vedeva la fine del cemento programmatico di quella formula di coalizione, venne messa da parte. Si continuò nel tran tran del centrosinistra, quasi fino ai suoi ultimi giorni, quando già nel 1976 questo era alle corde. Non solo, ma c’è pure chi intese l’ineluttabilità del compromesso storico, non come un sentimento di disperazione ed impotenza, quale era, ma come una apertura al Pci. Da qui l’altro mito che un partito alleato alla Dc in funzione anticomunista come il Pri, fosse un partito di sinistra, quando semmai noi eravamo la sinistra che mancava all’Italia. Poi l’amico Savoldi ci ha raccontato del "microcosmo": siamo talmente piccoli oggi e quindi insignificanti che è inutile darci addosso per le nostre scelte che pure non procurano più i sommovimenti che procuravano allora. Io sono d’accordo con Savoldi, ma allora, perché mai dannarsi l’anima nella convinzione di potersi proiettare in un macrocosmo immaginario, saltando gli organismi del partito, anticipando le scelte congressuali, entrando in urto con le scelte elettorali di un sistema che non ci piacerà, ma che pure abbiamo accettato e che non possiamo ignorare nelle sue estreme conseguenze? Questa è roba da Mefistofele, quando qui, caro Savoldi, c’è pur sempre soltanto un Faust.

Poi pensavo un’altra cosa: che un terzo polo lo avevamo fatto ancora un’altra volta nel ‘94. Martinazzoli, Segni, Amato, quant’altri, con esiti elettorali catastrofici, e con la caratteristica che, all’indomani del voto, questo terzo polo si disfece perché la legge elettorale modifica gli equilibri politici. Allora veniamo agli equilibri politici: qui tutti chiedono soluzioni e ne hanno ansia e vogliono sapere cosa fare, e pure le nostre forze sono quelle che sono, e quello che si può fare: è giusto un passo. E un passo è quello che abbiamo fatto in questo congresso. Lo delimita l’area definita dai nostri stessi ospiti. Berlusconi è il presidente del Consiglio della nostra maggioranza, quella a cui il precedente congresso diede il cento per cento dei voti congressuali, ripeto: il cento per cento. Casini e Rutelli sono gli interlocutori di un processo che si può avviare con la debita cautela. Perché anche qui c’è da discutere, alcuni amici hanno chiesto al partito di lasciare il governo, come sapeva fare Ugo La Malfa. E’ buffo perché noi non siamo nel governo, noi siamo già direttamente all’appoggio esterno. E altri hanno chiesto la solidarietà nazionale, ma se ci troviamo, come dice giustamente Collura, di fronte ad un’involuzione del sistema economico del paese, non c’entra la solidarietà nazionale, Se è l’involuzione economica che poi si accompagna ad un’involuzione culturale ed istituzionale, mica possiamo imbarcare Vendola e Di Pietro. Casini lo ha detto che non intende governare con Vendola, citando la Fiat. Solo che Vendola è mezza sinistra, sulla Fiat ha la stessa posizione del responsabile economico dei Ds, Fassina, per capirci. Ed infatti la proposta della segreteria in questi mesi è stata di allargare la maggioranza a Casini, se vuole anche Rutelli, magari a Pannella, che sa capire la differenza fra i diritti del lavoro e quelli costituzionali. Possiamo anche arrivare a Chiamparino e Damiano, e si finisce lì perché la solidarietà nazionale serve per il rigore, ma se si vuole lo sviluppo, la solidarietà nazionale rischia di affossare definitivamente ogni prospettiva di ripresa.

Concludo. Mi dispiace aver interrotto l’amico Paolo Gambi quando egli ha ragione: morale pubblica e privata nell’uomo politico coincidono. Solo che in uno stato di diritto c’è la presunzione di innocenza, soprattutto in assenza di un reo confesso e pure di un teste d’accusa. Vedo invece che qui qualcuno ha già processato e condannato Berlusconi. Ora io la penso sulla magistratura in maniera tale che per rispetto del congresso repubblicano è meglio non mi pronunci a riguardo. Posso solo dire che sono d’accordo con la visione di Giovanni Conti, per cui è il ministro della Giustizia che detta la strada sulle inchieste che intraprendono i magistrati. Un magistrato milanese rispettoso del pensiero di Conti avrebbe telefonato al ministro della Giustizia per chiedere cosa bisognasse fare e concertare una strada inquisitoria, invece di dare tutto subito in pasto ai giornali tanto scompostamente.

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Giovanni Pizzo
Siamo dentro una crisi di sistema: la globalizzazione ha messo in contatto sistemi troppo squilibrati; chi possiede enormi ricchezze (frutto del passato) da proteggere e non ha più cosa consumare, chi vorrebbe consumare ma non ha la ricchezza per farlo. Tutti dentro un contenitore (l’ecosistema) che scoppia. Una cosa è certa: materie prime alimentari ed energetiche saliranno alle stelle: chi non crescerà economicamente abbastanza sarà presto risucchiato dentro la soglia della povertà. Nel nord Africa ciò ha fatto traboccare un vaso già pieno, nel Mezzogiorno ci stiamo arrivando. La crisi è politica: la grande alleanza fra democrazia e capitalismo è in crisi. Su questo argomento c’è un passaggio acutissimo nella relazione del Segretario. La politica delle ideologie ha fallito: destre e sinistre per conservare il consenso hanno venduto l’anima al diavolo finanziario e oggi sono sotto ricatto: restituiteci i soldi o vi facciamo fallire. E se ci chiedono di rientrare entro il 60% del PIL avremo cinque anni di tagli drastici della spesa. La democrazia funziona se chi sceglie è informato: smettiamola con le facilonerie, è arrivato il momento che qualcuno dica la verità al popolo circa lo scenario di impoverimento che incombe sulla nostra economia: quelli siamo noi Liberaldemocratici. Vediamole queste verità.

Di fronte alla concorrenza dei paesi emergenti siamo senza nessuno degli strumenti necessari per il futuro. Di questo passo fra cinque anni saremo come la Grecia, i nostri figli rischiano di dovere fare i camerieri e i badanti dei nuovi ricchi. Quelli bravi andranno via.

Abbiamo due economie: una è già al top in Europa ed ha bisogno di liberalizzazioni e di essere liberata dal peso della burocrazia; l’altra è nella condizione di sottosviluppo ed ha bisogno dello Stato per creare le pre-condizioni dello sviluppo. La prima non potrà mai più crescere a tassi superiori al 2% per saturazione fisica; se l’insieme vuole crescere a tassi del 4% allora il Mezzogiorno deve crescere dell’8,5%. Allora non c’è un problema del Mezzogiorno ma un problema dell’Italia.

C’è una pubblica amministrazione da ridurre drasticamente (altro che abolizione delle Provincie). Ci vorrebbe uno sfoltimento di 1,5 milioni di posti. E ci vuole un’idea di futuro. E come affronteremo queste sfide: gli schemi delle ideologie del novecento hanno già fallito. Ci vuole un approccio razionale e scientifico basato sulle contingenze: radicale e moderato, di destra e di sinistra, ambientalista e sostenitore dei grandi investimenti infrastrutturali. Non basta più il centro (che sa tanto di medicine edulcorate) ci vogliono soluzioni forti di destra, quando serve l’approccio di destra e di sinistra, quando serve l’approccio di sinistra, moderate e radicali quando serve.

Di destra per liberare l’economia del Nord e di sinistra per accompagnare lo sviluppo del Sud; di destra per regolare gli afflussi di migranti e stroncare le illegalità e di sinistra per le politiche di inserimento e di concessione dei diritti di cittadinanza; di destra per liberare il paese dall’asfissiante "autorizzazionite" della P.A. e di sinistra per attivare severi controlli di legalità ex post; di destra per sostenere la ferrovia veloce ed il nucleare e i termovalorizzatori, di sinistra per tutelare gli ambienti naturali, il paesaggio e le identità culturali, sostenere la raccolta differenziata e tutta la filiera industriale del recupero. Questo è il futuro delle democrazie occidentali: dire la verità e conquistare il consenso della popolazione informata per realizzare un nuovo punto di equilibrio fra democrazia, economia, libertà e responsabilità.

Restiamo dove siamo per preparare questo percorso: ultimata la legislatura avremo più interlocutori davanti a noi per individuare quello più vicino al nostro progetto.

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Elisa Campolo
Amici, introduco il mio intervento con una recentissima affermazione (17 febbraio 2011) del Presidente del Senato On. Renato Schifani, che mi rende orgogliosa di far parte di questa grande famiglia che in maniera incisiva ha contribuito all’elaborazione della nostra Costituzione: "I repubblicani: eredi di un pensiero politico che contribuì in maniera determinante alla formazione di una coscienza Nazionale ed alla nascita di un’Italia Unita".

E’ con legge del 17 marzo 1861 che, a Torino, Senato e Camera del Regno di Sardegna proclamano l’Unita d’Italia, ed il 21 aprile 1861 quella stessa legge diventa la n. 1 del Regno d’Italia.

Il nuovo Stato non ha tradizioni politiche univoche (un Centro-Nord con tradizioni comunali e signorili, ed un Mezzogiorno con tradizioni monarchiche fortemente accentrate sotto i Borboni) ma si basa su una nazione culturale di antiche origini che costituisce il forte elemento unitario di tutto il paese: uno Stato - come scrisse, a seconda guerra mondiale ormai conclusa, l’illustre storico svizzero Werner Kaegi - che cinque secoli prima dell’unità aveva "una effettiva coscienza nazionale" anche se priva di forma politica.

Di fondamentale importanza è stato il contributo dato dai repubblicani alla nascita dell’Italia nonché alla progressiva formazione dello "Stato Italia" inteso nella sua accezione più ampia: il padre fondatore della patria Giuseppe Mazzini, la sua Giovine Italia, e le sue battaglie per la costituzione di una Nazione "Unica, Indipendente e Repubblicana" trovano finalmente il proprio fondamento ed giusto riconoscimento.

Si arriva al 1895, anno di costituzione del Partito Repubblicano, che da 116 anni agisce attivamente sul territorio grazie all’apporto di veri e propri personaggi quali Spadolini, La Malfa, Colajanni, Pacciardi, Bovio, Nucara, per citarne alcuni: personaggi che ci hanno insegnato che essere repubblicani vuol dire riconoscersi in 5 valori cardine: laicità, libertà, uguaglianza, coerenza ed indipendenza, valori che da sempre contraddistinguono l’operato del nostro partito a livello nazionale e locale, e ci consentono di porci come interlocutori credibili agli occhi dei cittadini.

Oggi il Partito Repubblicano si riunisce in una tre-giorni congressuale da cui far scaturire la potenza e la volontà di un pensiero politico che vada oltre i confini nazionali, e che sia promotore di un nuovo corso della nostra economia e della nostra società in un contesto liberaldemocratico. Certo, i repubblicani sono "Soggetti alla ragione e servi di nessuno": De la Boétie, nel suo "Discorso sulla servitù volontaria" diceva anche: "per sua natura l’uomo è e vuol essere libero, ma la sua natura è anche fatta in modo tale da prendere facilmente la piega che le viene data dall’educazione; diciamo allora che tutte le cose vengono naturali per l’uomo quando vi viene educato o vi si abitua, ma che gli è propriamente connaturato solo ciò a cui lo colloca la sua indole semplice e non alterata".

Il Partito ha presentato oggi le sue Tesi, così come proposto e accettato unanimemente dalla Direzione Nazionale, con lo scopo di affrontare i problemi del nostro Paese cercando di proporre soluzioni ai problemi ritenuti più significativi, spaziando dalla Competitività economica ai Problemi del Mezzogiorno, dalle Riforme Istituzionali all’Esigenza di Rinnovamento, dalla Riforma delle Professioni alla Ricerca, dal Diritto alla Sicurezza sul Lavoro alle Questioni Internazionali.

Sono una militante; sono una repubblicana di Calabria; ma non faccio parte di quelle risorse che, costrette a sopravvivere, sono impiegate dalle organizzazioni criminali; non faccio parte della schiera di cervelli che fuggono dal Mezzogiorno a causa dell’assenza di mercato e di infrastrutture: sì, è vero, queste difficoltà impediscono di sfruttare le grandi potenzialità del Mediterraneo, ma è pur vero che si tratti di un territorio all’altezza delle sfide di crescita e sviluppo per cui è necessario agire secondo la logica dell’"ottimismo della volontà": Gramsci ci insegna che non ci si può limitare a conoscere il mondo, ma che arriva il momento di cambiarlo!

Sono qui ad esprimere la gioia di un’identità di cui inorgoglirmi, sono qui per vantarmi di sentirmi parte di un paese che torni a credere in se stesso!

Che il 46° Congresso del nostro partito sia dunque occasione per riscoprire insieme le nostre radici fino agli anni nei quali prese forma la Carta fondamentale della nostra Repubblica, motore della nostra vita civile e democratica, e che il dibattito politico-istituzionale si mantenga sempre sui binari della ragione e della ragionevolezza!

Un sentito grazie a tutti gli amici repubblicani.

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Marco Brancoli Pantera*
Ci avviciniamo al Congresso con una domanda di fondo che non possiamo ignorare. Cosa fare? Continuare ad appoggiare il PDL oppure appoggiare il PD ? Pppure, ancora, aderire al cosiddetto Terzo Polo o, infine, rimanere autonomi e stare, per così dire, alla finestra?

Se non sciogliamo questo nodo possiamo stare tre giorni a discutere di tutto e del contrario di tutto ma il dilemma rimarrà e con esso aumenterà lo sconcerto del popolo repubblicano.

Ed allora quale risposta? Se si volesse rispondere con senso di dignità, dovremmo dire che ce ne stiamo da soli senza confonderci con altre forze politiche che poco o niente hanno a che spartire con noi. Ma sarebbe questa una risposta istintiva dettata solo dall’orgoglio e non dalla razionalità che ci ha sempre contraddistinto.

Ed allora?

Continuare a collaborare con il PDL – o meglio con Berlusconi perché di fatto il PDL non esiste essendo solo il frutto di una costruzione acritica e senza fondamenta - a mio parere è oggi non solo contraddittorio (come faremo ad esempio a conciliare la nostra laicità con la posizione governativa sul testamento biologico o sulla fecondazione assistita ?) ma direi quasi umiliante.

Nessuno è tanto ingenuo da credere che la Magistratura dal 1994 ad oggi non abbia tentato più volte di disarcionare il Cavaliere con processi a ciò mirati. I vari processi Mondadori, IMI Sir, Lentini ecc. certamente hanno una velatura politica che ne ha reso evidente lo scopo sottostante. Ma vedere una matrice politica nel processo Ruby credo sia impossibile e comunque sarà la Magistratura giudicante (certamente meno politicizzata della Procura di Milano) ad accertare la eventuale violazione delle legge. Ma i comportamenti che le intercettazioni hanno rivelato – poco importa sapere se quelle intercettazioni furono legittime o meno, quello che conta sono i fatti emersi – sono del tutto inaccettabili in un Presidente del Consiglio che ha, tra l’altro, il compito di rappresentare l’Italia intera, oggi esposta al ludibrio internazionale.

Non solo; come conciliare la nostra storia con le prese di posizione della Lega sul 150° anno dell’unità d’Italia ? Ed ancora: come sarà possibile continuare a collaborare con personaggi politici pesantemente inquisiti per varie questione di malaffare in Toscana e in Abruzzo ? Come conciliare la nostra azione politica con la continua aggressione alle Istituzioni dello Stato (Quirinale, Corte Costituzionale, ecc)?

La conclusione non può che essere quella di uno sganciamento progressivo ma costante dal PDL.

Se invece guardiamo a sinistra lo scenario e soprattutto la conclusione non potrà essere tanto diversa.

In tutti questi anni da tangentopoli ad oggi il PCI, PDS, PD niente ha costruito sul piano dell’alternanza essendosi limitato ad incentrare ogni sua azione politica sull’antiberlusconismo più o meno accentuato, più o meno becero.

Nessun progetto serio e concreto per il paese è stato presentato, non un’idea aggregante per le varie forze della sinistra democratica è stata avanzata ed offerta alla discussione. C’è stato solo un generico ritornello, spesso di frasi fatte, senza iniziative legislative - penso ad esempio al conflitto di interessi o alla legge elettorale - che potessero in qualche modo frenare il berlusconismo imperante.

Tutto ciò ha finito per allontanare dalle posizioni della sinistra democratica forze come la nostra, sinceramente liberali, moderate e riformiste mentre il PD, privo di un suo progetto politico e prima ancora culturale, per cercare di imporsi ha dovuto unirsi o alla estrema sinistra o a forze di dubbia liberalità come quella di Di Pietro.

E allora? Rimane da esaminare le posizioni rappresentate dal cosiddetto Terzo Polo.

E’ questa un’idea audace, forse presuntuosa, per certi versi rischiosa perché incentrata sul cattolico Casini, sull’ondivago Rutelli e su un Fini sul quale più di qualche perplessità è lecita.

Con Casini, al di là delle questioni che involgono più la coscienza che la politica, molti sono i punti di convergenza quali la riforma della legge elettorale e la necessità del superamento dell’attuale bipolarismo, inopportuno e calato dall’alto. E a Casini va riconosciuto il merito di aver avuto il coraggio di allontanarsi dal PDL rischiando in proprio ed affrontando al buio un passaggio elettorale (quello delle elezioni politiche del 2008) difficilissimo e dall’esito incerto.

Diverso il percorso di Fini che solo di recente e con molto ritardo ha tagliato il cordone con il PDL rilanciando la questione della moralità, della legalità e dell’etica nella politica.

Certo la questione "Montecarlo" e il continuare ad occupare la poltrona di Presidente della Camera non hanno giovato all’immagine di Fini i cui parlamentari, dobbiamo essere onesti e riconoscerlo, a differenza di quelli di Casini che se li è guadagnati attraverso le elezioni, sono tutti di provenienza PDL.

Da ciò la fisiologica uscita di parlamentari dal FLI col il rientro nel PDL richiamati anche dalle lusinghe provenienti dagli uomini di Berlusconi.

Fini dovrà allora cercare consensi più nel futuro parlamento che nell’attuale, dovrà cercare di consolidare la sua presa di posizione più nel paese che nei palazzi del potere.

Infine Rutelli, al quale, vista la sua origine radicale e nonostante la limitatezza numerica del suo API (nelle cui fila è schierato anche un cattolico laico come Tabacci), ci legano molte affinità politiche.

Un atto di coraggio – forse di incoscienza – mi induce a pensare che solo questa possa essere la via di uscita, con tutti i suoi limiti e con tutti i suoi rischi che non mi nascondo e che non sottovaluto.

Ma se davvero vogliamo abbandonare un bipolarismo innaturale, il pantano di Arcore, una legge elettorale "truffa", un Parlamento di nominati e non di eletti, l’immobilismo del Governo in campo economico, le incertezze nella politica estera, se vogliamo dare una nuova dignità al fare politica nel rispetto delle Istituzioni e delle Leggi, se vogliamo essere orgogliosi di celebrare il 150° anniversario dell’Unità del Paese, se vogliamo essere governati da persone che non ci facciano vergognare di essere Italiani, dobbiamo avere il coraggio di cambiare e di impegnarci in un progetto politico nuovo. Tutte le altre possibili soluzioni sarebbero solo pannicelli caldi che non saranno in grado di guarire i molti mali del nostro paese.

*Marco Brancoli Pantera, ex consigliere Nazionale Pri e iscritto alla sezione di Lucca